Baguettes belegt mit Salami, Schinken, Käse, Salat, Tomaten und Gurken

LA FANTASTICA STORIA DEL PROSCIUTTO COTTO

Il prosciutto cotto è uno dei salumi italiani più amati da grandi e bambini ed anche uno dei più famosi nel mondo. L’etimologia del nome riconduce al latino, prosciutto significa infatti “asciutto, privato dell’acqua”.

Alzi la mano chi non ha mai gustato un bel panino col cotto in riva al mare con la propria famiglia o alla tra un tempo e l’altro, in uno stadio pieno, guardando la partita della squadra del cuore. Il mio primo panino quando ero piccolissimo fu un panino con il prosciutto cotto, mangiato a casa di mia zia Angelina. Quel panino, quel gusto semplice ma fantastico nel contempo, il fascino del colore rosa di quel salume fino ad allora sconosciuto, sono state le basi per arrivare alla mia passione per i salumi e, conseguentemente, al sito in cui vi trovate oggi.

L’importanza del cotto nella tradizione gastronomica italiana viene da molto lottando nel tempo; le prime attestazioni storiche del prosciutto, infatti, risalgono ad alcuni secoli prima di Cristo: abbiamo testimonianze che l’antichissima pratica di cibarsi di carne suina era stata fatta evolvere dagli Etruschi, che già nel V secolo a.C. praticavano l’arte della salumeria trasformando le cosce di maiale in quelli che possiamo definire antenati dei prosciutti.

Addirittura negli scavi di Pompei e di Ercolano, sono state trovate tracce di gambetti e vere e proprie ricette sull’elaborazione della carne di maiale. Non è da escludere che la nascita del prosciutto cotto sia addirittura più antica dell’Impero Romano stesso perché, pur essendo un salume, può essere visto anche come un grosso arrosto. I primi a cuocere il maiale in sezioni anatomiche sono stati i popoli del Nord, prima ancora che nascesse l’Impero: non è quindi da escludere che i legionari abbiano acquisito le prime nozioni sulla preparazione del prosciutto cotto dai galli, dai longobardi o da altre popolazioni barbare assorbite gradualmente nel territorio.

Grandi autori come Porzio Catone, Ovidio, Polibio e Apicio citano nelle loro opere la produzione di salumi di carne di maiale e di prodotti affumicati, così come sappiamo che con l’espansione delle loro conquiste i Romani vengono in contatto con le usanze alimentari della Gallia Cisalpina (l’odierno territorio a nord della Pianura Padana, ancora oggi grande terra di salumi): questi popoli avevano sviluppato una tecnica di trasformazione delle cosce suine con una doppia cottura, prima in brodo e poi in crosta con il miele, per ottenere il loro particolare prosciutto cotto, che ebbe molto successo a Roma e fu importato massicciamente.

Da quel momento in avanti il prosciutto cotto divenne un alimento comune in tutto il mondo romano e la sua tradizione si è progressivamente diffusa e affinata, grazie al miglioramento delle tecniche di conservazione della carne mediante affumicatura, salatura e essiccatura, fino all’introduzione del prosciutto crudo in epoca longobarda e, in età rinascimentale, alla nascita della vera e propria arte salumiera italiana.

Dopo questo necessario ex-cursus storico e prima di parlare ddi come viene prodotto il nostro roseo amico, è importante fare una necessaria premessa: il prosciutto cotto per definirsi tale può derivare esclusivamente dal suo taglio anatomico di riferimento, che si chiama infatti “prosciutto”. Esattamente come avviene per il prosciutto crudo, anche qui c’è la similitudine con la spalla di maiale cotta, ma in nessun caso può essere utilizzato il termine “prosciutto cotto” per definire specialità salate ottenute da altre parti anatomiche del suino, ivi compresa la spalla.E’ però importante ricordare che nessuno dei due tagli è migliore dell’altro, sono semplicemente diversi.

Altra cosa molto importante da tenere a mente la scrive direttamente il Ministero dello sviluppo economico: il prosciutto cotto è un salume cotto non insaccato e ricoperto parzialmente da cotenna ottenuto da salatura e cottura della coscia di maiale.

Sulla base di questo si è diviso il cotto in tre tipologie ben definite:

IL PROSCIUTTO COTTO E’ il semplice il prosciutto ottenuto a partire dalla coscia del suino, senza la necessaria presenza dei relativi muscoli, con un elevato tasso di umidità, pari all’81-82%; questo tipo di prosciutto si riconosce soprattutto per la forma compatta, non quella tipica di un prosciutto, e l’aspetto gelatinoso.

IL PROSCIUTTO COTTO SCELTO Nel prosciutto cotto scelto risultano individuabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia suina e il livello di umidità è compreso tra il 78,5 e il 79,5%, spesso ottenuto mediante il ricorso a polifosfati o proteine del latte per trattenere l’acqua nel prodotto.

IL PROSCIUTTO COTTO ALTA QUALITA’ Il prosciutto cotto di alta qualità è quello ottenuto da cosce di suino in cui siano identificabili con chiarezza almeno 3 dei 4 muscoli principali e in cui il tasso di umidità è non superiore al 76,5%. Per questo motivo il prosciutto cotto alta qualità non contiene polifosfati aggiunti e presenta una consistenza più asciutta.

Occhio quindi quando andiamo a comprare il cotto in supermercato o dal nostro salumiere di fiducia, di richiedere quello che maggiormente ci piace.

Veniamo ora alle fasi di lavorazione necessarie per ottenere un cotto perfetto.

– Si parte dalla scelta delle cosce, le parti più pregiate del maiale, che vengono classificate in base al peso e al rapporto tra carne magra e grasso. A differenza della spalla cotta, prodotto simile ma di qualità generalmente inferiore, il prosciutto cotto è infatti preparato con la zampa posteriore dell’animale, esattamente come il prosciutto crudo. La prima fase quindi è quella di sezionamento: un operatore rimuove l’osso dalla coscia dell’animale da poco macellato, insieme al garetto e parte della cotenna perché più difficili da mangiare. La coscia resta aperta e priva di ossa fino alla salatura.

– La seconda fase è la siringatura: proprio come si può immaginare consiste effettivamente nell’impiego di tante siringhe che servono a inserire all’interno della carne la salamoia, composta da acqua, sale e altre spezie, aromi e altri ingredienti che possono variare a seconda della ricetta. Questa fase della lavorazione è fondamentale perché senza l’utilizzo di nitriti la carne potrebbe sviluppare il botulino, un batterio molto pericoloso.

– La terza fase è quella della zangolatura: con le siringhe la salamoia si distribuisce solo in alcuni punti, la zangolatura serve appunto a distribuire il sale in tutta la coscia. Per farlo i prosciutti vengono messi dentro una gigantesca macchina, simile a una lavatrice. Il “cestello” ruota perpetuamente per 24 ore, il tempo necessario per distribuire il composto in maniera omogenea. Alla fine del procedimento i prosciutti si lasciano riposare per altre 24 ore, cosicché la salamoia si distribuisca in modo perfetto.

– La quarta fase è lo stampaggio, quella che dà la forma al prosciutto cotto: la carne viene messa in una sorta di vasca di alluminio e pressata, in modo da farle assumere la forma voluta.

– Quinta fase è quella della cottura, fase fondamentale: il prosciutto non viene toccato dalla vasca d’alluminio, viene cotto direttamente al suo interno. La tecnica è particolare perché avviene a soli 70 °C e dura 18 ore. Una cottura lenta, dunque, con la carne mai a contatto con il calore: è per questo motivo che il prosciutto mantiene la tipica colorazione rosata, così piacevole alla vista e diversa dalla carne cotta.

– Terminata la cottura, ci avviamo alla sesta fase, quella del confezionamento: il prosciutto ha acquisito la forma definitiva dopo essere stato cotto, viene così tolto dallo stampo e confezionato sottovuoto.

– L’ultima fase ne comprende in realtà due, quella della pastorizzazione e quella del raffreddamento. Queste ultime due maglie della catena di produzione sono una necessità sanitaria più che commerciale. Il prosciutto dopo il confezionamento è pronto per essere mangiato, la settima fase non dona alcun sapore in più, ma è fondamentale per essere sicuri che in qualche modo il prosciutto non sia stato contaminato da microrganismi. Per questo motivo si fa una pastorizzazione classica: 100 °C per 15 minuti, un tempo che uccide i batteri ma non modifica il prodotto. Infine va raffreddato, riportandolo a una temperatura consona alla conservazione.

Un prodotto quindi semplice ma complesso nel contempo, che richiede delle fasi di lavorazione lunghe e complesse ma che alla fine ci regaleranno un salume che servirà da base per fantastici panini o ricette prelibate.

Io lo adoro…e voi???